5° Convegno Donne E Religioni

9:00 Registrazioni dei partecipanti

9:15 Apertura Dei Lavori

LA VOCE DELLE ISTITUZIONI

LA VITA CHE CI E’ DATA

1° PANEL
SPIRITI RAFFINATI E DELICATI DA MANTENERE IN CONDIZIONE SECONDARIA, SOTTOMESSA
(Eric Zemmour)

2° PANEL
NON SI DEVE RINUNCIARE A RACCONTARE BELLE STORIE
(Henri d’Andeli)

3° PANEL
SOLO LA SOFFERENZA RENDE LA VITA SOPPORTABILE
(Santa Margherita Maria Alacoque)

4° PANEL
D.A OGGETTO DEL DESIDERIO A STRUMENTO DI PIACERE
(Eric Zemmour)

Interviene per l’Accademia ISA Chiara Ferrero

 

Uno spettro si aggira tra le religioni: lo spettro della partecipazione attiva femminile. Se c’è un tema trasversale a tutte le religioni, unificante, pervicacemente difeso e teorizzato, questo è il rifiuto alla paritaria presenza femminile in quello che è storicamente rimasto l’ultimo caposaldo della preminenza maschile: il ruolo primario di ‘gestore del culto’. Non c’è solo un comune patriarca, Abramo, che unifichi le principali religioni monoteiste, c’è di più: il disagio, l’imbarazzo, prima ancora di un netto rifiuto, al solo pensiero che le donne possano essere ‘Ministre di culto’.

Il paradosso più evidente è che pur essendo state le donne, storicamente, le più devote e numerose seguaci dei diversi credo religiosi, proprio ad esse sia precluso, in un mondo globalizzato sempre più frenetico e laico, l’accesso alla gestione paritaria del culto, o comunque a un’uguale rappresentatività nelle diverse comunità. Mentre i movimenti femminili sono stati ricondotti, nel tempo, sotto l’unico, generico e omnicomprensivo aggettivo di ‘femminismo’, sarebbe ben più complesso e certamente anche fuorviante, molto spesso, volerci ricomprendere i più sinceri moti dell’animo di molte donne religiose, che si sentono (e vogliono essere) più vicine al divino, al sacro, amministrandone le liturgie, la preghiera, il comune raccoglimento e che in questa istanza non ravvedano tracce di ‘femminismo’, o di contrasto di genere.

Le lodi per la centralità imprescindibile della donna per la perpetuazione della specie, e come interprete primario di trasmissione della tradizione culturale, i tanto lodati concetti di uguaglianza, che non mancano di mascherare una reale separazione e sotto-missione, si fermano alla soglia della sostituzione di una donna all’uomo: sull’altare, sulla Bimah, alla guida della preghiera.

Come si potranno mai fermare le molte lotte per la supremazia di un popolo su un altro, di una religione su un’altra, dei costumi di una tradizione rispetto ad un’altra meno fiera, o con più scrupoli, se all’interno del più piccolo nucleo esistente, quello composto dai due esseri umani di genere diverso, si debba ritenere un fatto accertato ed immutabile che l’una sia da limitarsi nelle sue espressioni a favore dell’altro e per sempre? Forse che gli uomini credano più profondamente delle donne nel divino, o che non abbiano dimenticato di esser stati cacciati dal Paradiso terrestre per essersi fatti turbare dalla prima donna, già desiderosa di ‘conoscenza’? Forse perché non potrebbero immaginare di poter essere uguali nella differenza? Ci sono cicli storici nei quali quanto si riteneva superato nel tempo, e nell’evoluzione culturale, improvvisamente ci si riproponga: sotto la forma di un assalto a principi basilari: vita, libertà, bellezza, e che da questa minaccia si vogliano trarre delle analisi sintetiche tendenti a convincerci che, in realtà, tutti i problemi sorgano proprio dal malinteso bisogno del genere femminile a comportarsi con la stessa libertà ed autodeterminazione del genere maschile. Dunque se le donne stessero a casa, ad attendere alla cura della prole e della magione, nel magnanimo dominio maschile, non ci sarebbero più guerre, morti, sopraffazioni, commercio di esseri umani, schiavizzazione? Forse, addirittura, ci sarebbe un’unica religione valida per tutti e, gli uomini, solo essi, nel giorno dedicato al Signore, berrebbero idromele nel Paradiso perduto?